«La richiesta che facciamo alla politica è di tornare a sostenere un vasto programma come l'ex Piano Calenda: il paese ha cominciato a correre con la finanza agevolata per le tecnologie di Industria 4.0»
Il momento è adesso. Chi non ha ancora intrapreso la strada della digitalizzazione farà bene a farlo senza mettere tempo in mezzo; chi è già per strada è bene che acceleri l'andatura. Questo il messaggio che Enrico Maggi e Gianni Dal Pozzo mandano alle aziende vicentine.
Maggi è il presidente della Sezione Servizi innovativi e tecnologici di Confindustria Vicenza, impegnata ad aiutare le imprese a implementare le tecnologie Industria 4.0. Un'attività che, più in generale, la struttura dell'associazione di piazza Castello svolge con assistenza e consulenze.
Qual è il bilancio del cammino fatto in questi anni dalle aziende vicentine nell'adozione delle tecnologie digitali?
DAL POZZO. Oggi non c'è azienda che dica di essere disinteressata alle tecnologie 4.0. Dopodiché, è bene precisare: la gran parte dichiara di aver sperimentato almeno una delle tecnologie di Industria 4.0, ma siamo lontani dal poter dire che tutte le aziende hanno completato il processo di digitalizzazione.
Gli addetti ai lavori, in effetti, fanno rilevare come il tessuto delle piccole imprese sia ancora inevitabilmente abbastanza indietro, rispetto alla "sfida 4.0". È così?
DAL POZZO. Le aziende molto piccole effettivamente in molti casi sono tuttora a uno stadio che, nella scala numerica, potremmo definire 2,5. Nel senso che c'è chi non ha ancora realizzato appieno il processo di informatizzazione di base che era figlio del 3.0.Eppure è più di qualche anno che associazioni di categoria e mondo della ricerca lanciano il messaggio che la digitalizzazione è un processo essenziale per non perdere competitività e rischiare di finire fuori mercato.
Questo essere per molti ancora al 2,5 è un reale pericolo o tutto sommato c'è ancora tempo per "mettersi in strada"?
DAL POZZO. No, tempo non ce n'è, bisogna correre. Anche per questo l'appello di Confindustria nazionale verso il governo è quello di tornare a finanziare pesantemente un programma come quello che fu il Piano Calenda. C'è bisogno di tornare a investire in questo tipo di incentivi. Il futuro sarà digitale, quindi bisogna tornare a finanziare la digital transformation. L'Italia ha cominciato a correre anche grazie agli investimenti in digitalizzazione sostenuti dalla finanza agevolata che i governi hanno messo a disposizione negli anni scorsi.
Il fatto che con l'ultima legge di bilancio la finanza agevolata non sia stata confermata ha rallentato la corsa alla digitalizzazione, e questo diventa un pericolo soprattutto per i piccoli. Perché? Sono quelli che fanno più fatica a investire da soli?
MAGGI. Certo, i piccoli sono gli ultimi a trasformarsi, lo fanno quando la filiera a monte glielo chiede. Proprio le piccole aziende, dunque, sono quelle che hanno bisogno di più ossigeno, sono quelle in cui la marginalità è più bassa e quindi hanno meno capacità di investimento. Di conseguenza, se non sono spinte da incentivi statali non hanno le forze sufficienti per fare da sole, e rischiano così di non rimanere al passo con una competizione che è inevitabilmente globale. Si parla ormai di Industria 5.0, termine che si riferisce a un'integrazione sempre più forte tra l'uomo e le tecnologie avanzate, come l'Intelligenza Artificiale, l'internet of things e l'automazione.
Qual è la filosofia di fondo di questo "scatto" numerico, dal quattro al cinque?
MAGGI. L'Industria 5.0 non riguarda soltanto le grandi fabbriche automatizzate, ma riguarda tutte le aziende che vogliono diventare più efficienti, flessibili e sostenibili. Nel contesto vicentino vediamo il 5.0 come un'opportunità per le nostre aziende di migliorare ulteriormente la loro produzione e offrire prodotti e servizi ancora più personalizzati. Grazie all'intelligenza artificiale e all'automazione possiamo ottenere una produzione più efficiente, ridurre gli sprechi e aumentare la competitività sui mercati globali.
C'è chi pensa, però, che l'uomo possa essere sostituito dalla macchina…
MAGGI. Al contrario, il 5.0 pone l'essere umano al centro del processo produttivo. Le tecnologie avanzate possono aiutare i lavoratori a svolgere compiti complessi, a ridurre i rischi e a migliorare la qualità del lavoro. È un'interazione uomo-macchina che porta a un equilibrio tra produzione di massa e personalizzazione, tra efficienza e sostenibilità
DAL POZZO. A voler far la sintesi, il 4.0 nasce con la promessa di rendere più competitive le imprese attraverso un incremento di produttività, che in ultima battuta significa profitto. In una situazione come quella attuale di crisi permanente - climatica, sociale, geopolitica, ambientale - si è capito che lo scopo ultimo dell'impresa declinato soltanto sul profitto non è più sufficiente per rispondere a questa realtà: le imprese devono essere capaci di pensare alle persone. Dunque in merito a Industria 5.0 io parlerei più che altro di upgrade. Le tecnologie non sono cambiate, però il loro utilizzo deve presupporre qualcosa in più della sola produttività, e questo qualcosa in più è la persona al centro. Secondo punto importante del 5.0 è la resilienza, intesa come riprogettazione di catena del valore per riportare all'interno parte di processi produttivi prima delocalizzati. Terzo punto, forse più importante, è il fatto che le tecnologie aiutano a rendere i miei prodotti più sostenibili. In definitiva, Industria 5.0 è un cambio di paradigma, piuttosto che un ulteriore "scalino" tecnologico che si chiede di fare alle aziende?
DAL POZZO. Il 5.0 non è un'altra cosa rispetto al 4.0, è un allargamento di visione. Ma è bene ribadirlo: siamo ancora nel pieno della quarta rivoluzione industriale. Se si parla di 5.0 è perché oggi essere solo più produttivi non basta: le aziende devono essere anche più sostenibili e mettere le persone al centro.
MAGGI. E l'intelligenza artificiale fa proprio questo: non ruba lavori, ma mette le persone nelle condizioni di interagire con macchine complesse in maniera più semplice. È come se fosse una sorta di interprete tra le persona e lo strato tecnologico. Queste tecnologie possono essere utilizzate veramente in senso molto più ampio. I primi a chiamare tutto questo con la sigla 5.0 sono stati i giapponesi quando nel 2018 hanno avviato un piano con un obiettivo di fondo: prima ancora di pensare alle imprese, pensiamo alla società.
In conclusione, qual è il messaggio da mandare agli imprenditori, a cominciare dai piccoli, per tenere alta l'attenzione su questi temi?
MAGGI. Le imprese devono abbracciare con coraggio queste trasformazioni, non aspettare. Il momento è adesso, le risorse ci sono, altre speriamo che arrivino presto. E le tecnologie di cui parliamo sono disponibili in Italia, non serve andare a cercarle negli Stati Uniti o altrove. Le associazioni datoriali, per parte loro, sono impegnate in questa direzione. Quindi avanti, non c'è da perdere tempo.
DAL POZZO. La quarta rivoluzione industriale ha tre caratteristiche che non si sono mai viste in precedenza: la prima è l'intensità delle innovazioni, che si compenetrano una con l'altra e riguardano tutti i settori. La seconda è il fatto di riguardare l'intera società. La terza, infine, è la velocità, che non cresce gradualmente come nelle altre rivoluzioni passate, ma si propaga in maniera esponenziale. A maggior ragione, dunque, bisogna essere veloci. Sicuramente non bisogna rimanere fermi.
Fonte
Il Giornale di Vicenza, intervista a cura di Stefano Fumaroni, 23 giugno 2023