Esistono svariati dati di mercato che provano la correlazione fra l’agilità e la resilienza delle aziende di fronte a situazioni impreviste, correlazione da cui dipendono anche i risultati dell’azienda. Una di queste situazioni, il Covid-19, ce la siamo trovata sbattuta in faccia in maniera molto aggressiva, ma non dimentichiamo che anche nel recente passato ci sono state crisi di natura finanziaria non preventivabili.
In tutte queste situazioni, le aziende che avevano già fatto un investimento importante sul digitale si sono dimostrate più resilienti. Va detto, per inciso, che investire nel digitale non vuol dire solo implementare la tecnologia, bensì creare la cultura aziendale, affinché la tecnologia sia utilizzata in modo efficace ed efficiente all’interno di tutti i processi.
Fra le tante ricerche che attestano quanto la digitalizzazione influisca sulla resilienza, se ne può citare una recente di BCG (Boston Consulting Group) che ha identificato in 4 macroaree il vantaggio della digitalizzazione spinta all’interno delle strategie aziendali.
Un’azienda cosiddetta “future ready” ha una velocità nell’implementare nuovi prodotti e servizi, quindi nel go-to-market, superiore del 40-50% rispetto a competitor non altrettanto digitalizzati. Sul fronte della produttività dei dipendenti, poi, questa risulta più alta, in una percentuale che va dal 20 al 30%. Anche la stabilità nell’erogazione dei servizi, a maggior ragione quando si parla di servizi digitali, sia nei sistemi employee-facing, verso l’interno dell’azienda, sia in quelli customer-facing, verso l’esterno, supera di oltre il 60% quella delle altre aziende. Dal punto di vista finanziario, infine, le organizzazioni più digitalizzate hanno una media tra il 12 e il 20% in più di EBITDA.
I numeri appena citati sono utili a illustrare la differenza tra aziende esposte (exposed) e altamente resilienti (future ready). Se pensiamo al Covid come a uno scenario macroeconomico imprevedibile, quante aziende sono state in grado di attutirne il colpo? Quelle che ci sono riuscite si possono definire resilienti, ovvero non hanno subito grosse conseguenze in positivo o negativo. Le aziende che invece oggi versano in una profonda crisi sono quelle “esposte”. Se non ci fosse stata la pandemia, ma una qualsiasi altra tipologia di crisi, probabilmente avrebbero subito comunque un duro contraccolpo. Ci quindi aziende che hanno affrontato questo periodo con maggior solidità, riducendo tale contraccolpo (c.d. “future ready” o “antifragile”). L’esempio più calzante è quello di Amazon, che da gennaio a oggi ha incrementato le vendite del 70%. Ma non bisogna essere Amazon per capire che in una determinata situazione saper rivedere velocemente il proprio contesto, interno ed esterno, è fondamentale.
In 4wardPRO eravamo già da anni orientati a una modalità di remote working e smart working con i nostri collaboratori e, in tempi non sospetti, eravamo fra i principali promotori del “lavoro agile” in Italia. Si tratta, infatti, di uno dei core value che portiamo sul mercato ai nostri clienti, i quali erano già abituati ad avere un rapporto con il nostro personale che non fosse costantemente presso i loro uffici. Questo ci ha permesso di andare in continuità durante il lockdown, facendo migrare in cloud con strumenti di produttività remota più di 82 mila nuove persone. Inoltre, sempre nel periodo di lockdown, siamo riusciti a far partire un’iniziativa pro bono, che si chiama Flexible Working, volta ad aiutare svariate molteplici aziende italiane a implementare in maniera semplice e snella modelli organizzativi che dessero loro la possibilità di ripartire il prima possibile.
“Il mio business ha attraversato la tempesta e non è stato né stravolto né affondato”. Questa è la metafora che rappresenta il concetto di resilienza. Per un’azienda che ha investito fortemente nel digitale, arrivare a questo risultato è quasi ovvio. Meno scontato è, non solo venire fuori indenni dalla tempesta, bensì addirittura trovarsi più avanti degli altri nella regata, per continuare nella metafora marinaresca. In tal caso il concetto di resilienza diventa più esteso, fino a comprendere quello della cosiddetta antifragilità, che è proprio di quelle aziende che nei momenti di discontinuità, quando tutti fanno fatica a cambiare e a riadattarsi, sono più veloci, tanto da conquistare nuove quote di mercato e acquisire un vantaggio competitivo sulle altre.
Quali sono le aree su cui le organizzazioni si devono concentrare per passare da uno stadio dove una situazione imprevedibile, di indeterminatezza può creare un’esposizione o addirittura il crollo del business, a una capacità non solo di resilienza ma perfino di crescita? In altri termini, quali sono i pillar che contribuiscono a determinare quella caratteristica dell’antifragilità a cui si è fatto cenno? Si possono suddividere in 6 macroaree su cui 4wardPRO, con la sua esperienza, è in grado di aiutare i propri clienti nel processo di trasformazione.
Anzitutto è necessario identificare le modifiche essenziali che devono essere approntate a livello organizzativo, sia per predisporre adeguatamente il proprio personale, sia per pensare a come erogare servizi e soluzioni o fornire prodotti in maniera alternativa ai propri clienti, ovviamente sempre il più possibile in ottica digitale. La prima area, quindi, deve essere focalizzata sulla protezione e la crescita della top line.
Il secondo punto va nella direzione di Operations che siano il più Agile possibile. Quindi, la supply chain, la logistica, lo sviluppo, la produzione: tutte le funzioni core di un’azienda devono essere organizzate in modo che il cambiamento dell’assetto, della modalità di azione sia agile e veloce. Quanto più l’organizzazione è statica, monolitica, burocratizzata e poco digitalizzata, tanto più sarà poi difficile adattarsi ai cambiamenti, specialmente a quelli repentini.
Il terzo elemento fondamentale per definire l’antifragilità è la cultura aziendale rispetto al digitale. Spesso questo fattore viene posto in secondo piano, ma la formazione, quindi le attività di skilling e reskilling del proprio personale, può portare l’azienda verso l’adozione di processi digitali e verso un utilizzo più efficace della tecnologia. Il rischio è che diversamente si crei una dicotomia fra l’IT, che introduce continuamente nuova tecnologia, e il business, che non la adotta, la adotti a fatica o ne sfrutti solo parzialmente tutte le potenzialità. Ci deve essere una forte sintonia fra l’introduzione di una tecnologia e il supporto formativo e di comunicazione, affinché le persone ne comprendano i vantaggi e ne utilizzino i reali benefici. Per questo motivo oggi si parla di adoption e change management. Se insieme alla tecnologia non si cambia il processo, ci ti ritrova con il vecchio processo, semplicemente più costoso.
Moltissime aziende hanno una quantità smisurata di dati che non utilizzano, basti pensare che si stima che solo il 2% dei dati digitali disponibili siano stati ad oggi analizzati. È un vero patrimonio che occorre saper sviluppare, perché riuscire ad analizzare i dati, cominciare a ragionare in ottica di Data Driven Decision supportata da Artificial Intelligence, consente di avere modelli predittivi che aiutano a velocizzare le decisioni e, soprattutto, a evitare tanti errori di valutazione che vengono fatti ex post. Di conseguenza, l’investimento sulla parte core IT in ottica data driven non può essere tralasciato.
In un mondo in cui la nuova valuta sono i dati e il valore risiede nel dato digitale, non si può non considerare la cyber security che, come ricorda il GDPR, va implementata by design o by default. La sicurezza non può essere intesa come qualcosa di cui occuparsi a margine di tutto il resto perché, quando accadono gli incidenti, potrebbe essere troppo tardi per rimediare. Esistono molti casi reali in proposito, anche di aziende blasonate, che oltre ai danni direttamente causati dalla violazione dei propri dati, devono fare i conti con una brand reputation compromessa. Questo, in fondo, è un altro tratto che differenzia l’azienda esposta dall’azienda future ready. Di fronte a così tante minacce informatiche, si può dire che oggi esistono 2 tipi di aziende: quelle che sono state attaccate e quelle che ancora non lo sanno o che non se ne sono accorte (il tempo medio di individuazione e rimedio di un attacco è di quasi 300 giorni, secondo il Clusit).
Questo sesto punto è la logica conseguenza dei 5 precedenti, se sono stati gestiti in maniera corretta. È la solidità finanziaria che deriva da un’ottimizzazione della produzione, dei costi e della produttività. Adottando in modo virtuoso i primi 5, anche questo sesto ambito permetterà di affrontare situazioni imprevedibili, come quella in cui ci stiamo trovando, grazie a una organizzazione pronta, efficace ed efficiente. La vedrà, in buona sostanza, non solo resiliente, ma anche solida e, perciò, antifragile.
I 6 pillar elencati pongono le basi per entrare nel “new normal” che ci aspetta, grazie a un assetto organizzativo capace di attraversare l’attuale mare in tempesta. Rappresentano l’ecosistema di cui un’azienda oggi ha bisogno, per affrontare senza timore imprevisti, oltre a questa pandemia, con l’obiettivo di non compromettere la posizione di leadership sui mercati già acquisita in periodi di bonaccia, bensì di rafforzare tale posizione perfino durante il peggiore uragano. In definitiva, servono a dare quelle caratteristiche di resilienza e antifragilità ormai imprescindibili.